lunedì 10 gennaio 2011

Chocabeck? cosa vuol dire?


Chocabeck è l'ultimo album di Zucchero, pubblicato a fine 2010. L'artista non mi ha mai entusiasmato per dire un eufemismo, tuttavia nell'album è contenuta Chocabeck che non mi dispiace. Nel video c'è una festa di paese di quelle semplici e rock. Quindi pollice in su. Il titolo, una onomatopea, sarebbe un'espressione dialettale reggiana che riproduce il rumore del becco vuoto di animali come il tacchino o la gallina.

Gli orrori del comunismo. Cronache dal gulag


Jacques Rossi, "Com'era bella questa utopia.
Cronache dal gulag", Marsilio Editori.

Ho letto "Com'era bella questa utopia" di Jacques Rossi, un sopravvisuto in condizioni estreme ai Gulag, i campi di concentramento comunisti. Dopo averlo letto ti chiedi come mai non sia ancora stato istituito un giorno della memoria per le vittime dei regimi comunisti; allo stesso tempo ti chiedi perchè non si combatta il «negazionismo» dei crimini comunisti con la stessa forza con la quale vengono combattuti (giorno della memoria ogni 27 gennaio) quelli nazisti contro gli ebrei. Il comunismo reale al potere si trasforma, come accade in Urss, in una dittatura sanguinaria che nulla a che  vedere con gli ideali per i quali si è sentito impegnato a combattere: difesa dei più deboli, dei contadini, della classe operaia, giustizia sociale, uguaglianza, tolleranza, etc.
Secondo lo storico del comunismo Stéphane Courtois che scrisse il famoso "Il libro nero del comunismo" al movimento comunista internazionale si può attribuire la responsabilità di quasi 100 milioni di morti. Berlusconi, a cui comoda evocare sempre lo spettro di questo tipo di comunismo, ce lo ricorda in ogni campagna elettorale. Un'ombra nera incancellabile nel libro dell'Umanità.

Urss fino a 20 milioni (2 milioni si devono ai famigerati Gulag)
Cina fino a 20 milioni
Vietnam, circa 1 milione
Corea del Nord 2 milioni
Cambogia 2 milioni
Europa dell'Est fino a 1 milione
America latina 150.000
Africa quasi 2 milioni
Afghanistan 1,5 milioni

L'orrore non ha banchettato soltanto ad Auschwitz, ma anche a Kolyma in Siberia (uno dei gulag con il tasso di mortalità più alto). Miseria insopportabile, intrisa di menzogne, di ingiustizie, di delusioni, di umiliazioni, di provocazioni, di arroganza, di perversioni, di ipocrisia, di fame, di freddo e di terrore.
Il gulag, il campo di concentramento del sistema sovietico. Filo spinato e pastori tedeschi. 

I detenuti per motivi politici, imprigionati senza limiti di tempo, "nemici  del popolo", vengono sottoposti ad un regime di detenzione molto duro ed a lavori forzati pesanti. Soltanto sotto i 38 gradi sotto zero i detenuti venivano dispensati dal lavoro coatto. Esattamente come durante il Regime del Terrore durante la Rivoluzione Francese, si liquidavano i liquidatori. Dopo ogni ondata di repressione di massa, si procedeva incompresibilmente a sistematiche eliminazioni di taluni degli esecutori della precedente purga. I testimoni imbarazzanti dovevano sparire. Gli aguzzini e le vittime prima o poi ciclicamente si ritrovavano nel medesimo Gulag, perchè nel frattempo gli aguzzini erano catturati nell'ingranaggio della Grande purga.
Le celle di rigore, tre passi per il lungo e tre passi per il largo, non hanno finestre e sembra fatta apposta per contenere le esalazioni della tinozza per i bisogni, sozza e maleodorante. Gli internati rapati, tenuta zebrata, vi arrivavano con dei convogli ferroviari identici a quelli nazisti. In alcuni casi si provocavano delle menomazioni permanentio o delle amputazioni per evitare i lavori forzati.

Detenuti del lager del Mar Bianco-Mar Baltico (Belbaltlag) al lavoro nel 1932 

I Gulag, paiono dei laboratori per degli esperimenti socio-culturali e polizieschi, in vista della creazione del "perfetto cittadino sovietico". L'orrore nell'orrore è che in questi posti dimenticati da Dio, oltri ai "fessi" ci fossero anche veri e proprio criminali senza scrupoli e regolamenti di conti a non finire tra delinquenti di bande rivali; ed ecco "l'uomo vacca". L'uomo vacca è quell'individuo, scelto a sua insaputa dai compagni di una evasione che lo useranno come provvista per il viaggio; se ne berranno il sangue e se ne mangeranno i reni. I delinquenti più anziani selezionano, per il ruolo di "vacca", un giovane che, ben lungi dal sospettare qualcosa, è ben contento di essere in compagnia dell'elite della malavita in un progetto d'evasione. I Gulag pertanto come enormi camerate erano consegnate agli equilibri di potere dei boss della malavita russa.
Il libro racconta efficacemente quel mondo che anche Orwel in 1984 seppe descrivere senza pari. Scrive Jacques Rossi: "Poco per volta, presi coscienza che le idee comuniste, così seducenti, erano di fatto illusioni irrealizzabili. E che coloro che si erano impegnati a realizzarle dovevano ricorrere inevitabilmente all'inganno, cosa che implicava obbligatoriamente la censura, in definitiva l'instaurazione di un terrore di Stato. Il primo Stato operaio e contadino del mondo, la speranza di tante anime belle, divenne il Paese della menzogna totale.

Una baracca con le donne in un Gulag.

domenica 9 gennaio 2011

Checco Zalone il nuovo Adriano Celentano

Trailer di "Che bella giornata", il nuovo film di Checco Zalone nelle sale.

Checco Zalone, made in italy, batte Hollywood; in soli due giorni di programmazione "Che bella giornata", il suo secondo film dopo l'esilerante "Cado dalle nubi", ha incassato più di 7 milioni di euro; è il record dei record per il box office italiano, il film che nei primi due giorni ha avuto il più alto incasso superando Avatar e Harry Potter. Il nuovo Adriano Celentano è arrivato. Non me ne voglia chi guarda solo al passato.

Checco Zalone in una esilerante imitazione di Nichi Vendola

sabato 8 gennaio 2011

Incredibile a capodanno: Berlusconi a casa da solo, D’Alema a Saint Moritz !?!


Non ci credo, non è possibile. Il miliardario dei miliardari, colui che vive terrorizzato dal comunismo e quindi semplicemente dalla paura che gli italiani si accorgano che ciò che lui ha accumulato li ha impoveriti di risorse e di opportunità, ha trascorso tristemente il capodanno a casa a letto, guardando Barbara D’Urso. No, Barbara D’Urso NO. «Non sono mai stato meglio di così», ha confidato il giorno dopo il premier agli amici. Ma è il solito atto di autoipnosi ipocrita, di un volontario ottundimento della coscienza. Bipensiero: se passi un capodanno di cacca allora dichiari che è stato quello più bello della tua vita. Già, perché la sottigliezza più estrema è credere fermamente di dire verità sacrosante mentre pronunci le menzogne più artefatte. Gli italiani così ci cascano sempre.


Non ci credo, non è possibile. D’Alema, il comunista, ha passato il capodanno a Saint Moritz e si dice che se la stia ancora ridendo sotto i baffi spumeggianti di champagne. Mi sento male, non ci credo. Oddio, Luca Zaia a capodanno dai cinesi!?! Bastaaaaaa…non voglio più sapere niente; se Casini ha passato il capodanno al gay village non lo voglio sapere.

Al ristorante cinese ha trascorso anche la sera di Capodanno. E' polemica sul governatore leghista del Veneto Luca Zaia, accusato dai ristoratori padovani di preferire la cucina "low cost" orientale a quella tradizionale, nonostante si batta per la difesa dell'agricoltura e dei prodotti locali (Fonte Mattino di Padova)

venerdì 7 gennaio 2011

Angelo Calianno: "L'uomo bianco che mentiva nel Paese più ospitale della Terra"


Angelo Calianno nel villaggio di Niafunké, nel Mali in Africa. Classe 1979, profondo conoscitore del continente nero, fin dall'età di 18 anni ha attraversato  in lungo ed in largo paesi africani quali il Botswana, Zimbawe, Zambia, Sud Africa, Gambia, Guinea, Sierra Leone, Tunisia, Marocco, Mali, Algeria; in medioriente il Kurdistan, Palestina, Israele, Syria, Libano ed in Sud America l’Argentina, Cile e Bolivia. L’Europa ovviamente se l’era bevuta già a colazione. Lavora come tour director e contemporaneamente scrive come freelance per Peace Reporter. Notevole il suo reportage da una terra maledetta "Lettere dalla Palestina" ed il racconto di una avventura in solitaria nel parco del Matese, completamente immerso nella natura.  

Il racconto che segue è stato scritto da Angelo Calianno ed è stato ritenuto meritevole di pubblicazione dai docenti della Scuola del viaggio e quindi pubblicato nel 2010 nel libro "Partire" edito da A. Vallardi.
Da dove vieni?
Sierra Leone…
Sierra Leone? E cosa facevi lì? Perché hai scelto quel posto? Quanto tempo ci sei stato?
Dovresti vederla, l’Africa, risposi.

Due mesi prima.
Conoscevo il mondo, o almeno pensavo di conoscerne parte di esso.
Avevo visto già molti paesi Africani, ero stato presente durante la guerra civile in Zimbabwe, avevo attraversato le distese della savana del Botswana, partecipato alle sommosse campesine in Bolivia, ero in quella fase dell’esistenza, in cui pensi che il tuo posto sia solo in viaggio. Ero in quel momento in cui, ci si sente come un satellite, in cui si può essere qualsiasi tipo di persona, purché non complice delle malefatte del mondo.
Eppure nessuna delle esperienze precedenti mi avrebbe preparato alla Sierra Leone, io non so se un viaggio possa davvero portare alla maturità o possa cambiare la vita. Non credo che le persone cambino davvero mai. Ma so che esistono paesi i quali  risvegliano parti di noi assopite o troppo represse, esistono persone che con la loro esistenza, diventano i nostri maestri più importanti.
In Sierra Leone ci arrivai per caso, ero in Gambia quando, l’incontro con un contrabbandiere di diamanti ed un ex capitano della SAS inglese, che guidava elicotteri per una compagnia di estrazione mineraria, mi incuriosirono su questo paese.
Che fine aveva fatto la Sierra Leone dopo la guerra che per 10 anni l’aveva dilaniata? Perché era sparita dai satelliti dell’informazione?
Tutte domande irresistibili, che si mischiano ai racconti magici e suggestivi dei sierraleonesi lontani da casa, che vorrebbero tanto tornarci.
“Benvenuti nel paese più ospitale del mondo”, un murale al porto di Freetown mi accolse così. Quale disegno c’è nella povertà? Nella disgrazia? Chi decide quali posti devono essere tormentati da guerre e carestie mentre gli altri si godono la bella vita? In Africa questo accento è più marcato, perché le enormi ricchezze e bellezze della terra, si accompagnano quasi sempre a guerre intestine causate dall’avidità occidentale.
La Sierra Leone con i 30,000 mutilati, ne è solo un esempio.
“Io sono stato fortunato, mi hanno tagliato solo una mano” racconta Samiel parlando del periodo in cui c’erano i ribelli del RUF. “Mi hanno detto, hai la faccia simpatica, ti toglieremo solo la mano o un piede, a molti amici è andata peggio, e allora gli veniva tolto un braccio e una gamba a colpi di machete”.
Questa è solo una delle storie del paese più ospitale del mondo. Raccontata da Samiel e dai suoi amici con una naturalezza impressionante. Sono storie che farebbero tremare il più cinico dei cuori, immagini che farebbero finire il cielo dall’altro capo del mondo, se non fossimo in Africa.
Dopo alcuni giorni nella capitale Freetown, decido di ripartire, addentrarmi verso est, verso il confine con la Guinea.
Il viaggio, splendido quanto duro, su logore panche di legno messe come sedili in un vecchio scuolabus inglese, ci portò tra frutta e noccioline all’altro capo della nazione, dove l’umidità delle foreste si fa opprimente, dove l’unico uomo bianco che si intravede è qualche missionario, dove la gente ha bisogno di fermarti la mattina al mercato, per raccontarti la sua storia.
“Ho viaggiato molto nella mia vita: Senegal, Marocco, ho studiato anche l’arabo a Taroudant, ma nessun posto è come Kabala”. Kabala è una città vicino al confine con la Guinea, dove la terra rossa Africana si mischia con i cieli puliti senza elettricità ed il verde delle foreste.
La frutta è più fresca, la persone passano i pomeriggi a chiacchierare, sorseggiando un imbevibile intruglio, distillato di foglie di palma, e fumando al fresco, nelle ore più calde.
Kabala sembrava il posto migliore per ripararmi dai troppi racconti di guerra e mutilazioni, caduti sulle mie piccole spalle da europeo.
Ma i racconti non hanno una pausa, hanno un luogo e un momento ben preciso, questo era quel momento, che io fossi pronto o meno. Ma i racconti non fanno pausa, hanno un luogo e un momento ben preciso per arrivare: questo era il momento, che io fossi pronto oppure no. “I caschi blu dell’Onu, che in teoria avrebbero dovuto difenderci, qui venivano dal Bangladesh, nazione più povera al mondo allora e preceduta solo…dalla Sierra Leone. I soldati quando arrivarono con la loro politica di non intervento, si limitarono a guardare quello che i ribelli del Ruf facevano a questa gente. Loro se ne stavano al riposo nella nostra casa, violentando le donne e facendo razzia dei cibi che trovavano. Ma il decidere di non intervenire, non è già una presa di posizione ben precisa?". Questo mi racconta uno dei padri missionari da 25 anni in Sierra Leone.
La sera ogni tanto portava un vento fresco che veniva da chissà dove fino a qui, lontano dal mare e dalle montagne. Si vedevano poche luci durante le mie passeggiate notturne, erano bagliori di piccoli cellulari di alcuni ragazzi, che servivano ad illuminare un po’ la strada. Ogni tanto si diffondeva una musica di una radiolina a batterie, unico mezzo di connessione con un mondo che ha dimenticato alcune delle sue terre, o se ne ricorda solo nel momento del bisogno.
Un predicatore a Freetown rivolgendosi ad alcuni bianchi disse:
“E voi che pensate di essere al sicuro, arriverà il vostro momento! Perché un giorno il vostro mondo finirà, e quando avrete perso le vostre comodità e non saprete più come fare, verrete a farvi insegnare la sopravvivenza da noi, che in queste condizioni abbiamo sempre vissuto. E allora forse potremo essere fratelli, oppure ancora una volta, ve ne andrete, non lasciando altro che morti e terra bruciata, perché, l’uomo bianco mente”.
L’uomo bianco mente, questa frase non l’ho più dimenticata.
In pochi gironi a Kabala diventai una specie di personaggio. Mentre giravo per il mercato la gente mi fermava per chiedermi una chiacchierata, informazioni sull’Italia, qualche tiro con il pallone, per bere un distillato di vino di palma, alcolicissimo, non certo la bibita ideale con 40 gradi all’ombra e l’80 % di umidità.
Diventai così famoso che, in occasione di una gara di atletica, consegnai io i premi.
Con affetto Kabala mi strinse nel suo cuore, i padri missionari mi offrivano pranzi gustosi con cibi africani cucinati all’Italiana, i ragazzi giocavano a calcio; chi era stato meno fortunato durante la guerra e aveva perso una gamba o un braccio, mi raccontava la sua storia, facendosi spingere la rudimentale sedia a rotelle di legno su per un’altura di sabbia.
Una delle principali regole tra viaggiatori dice di lasciare un luogo nel momento in cui ci si affeziona troppo. Perché quel posto potrebbe non lasciarci partire mai più, e le cose da fare ed i posti da vedere erano e sono ancora troppi.
Il momento di lasciare Kabala era arrivato. Lo feci mettendomi in una macchina con altre 7 persone, anche se ne poteva contenere solo 4. Lo feci alla mia maniera, all’alba, non guardando i visi di chi mi salutava, facendo un inchino al luogo che mi ha accolto, uscendo di scena, almeno per il momento.
Il viaggio diventò un’altra splendida avventura: la macchina si rompe, in soccorso venne un mercante che vendeva qualsiasi cosa: dall’oro ai diamanti, dalle batterie per telefoni cellulari alla benzina.
“E tu che ci fai qui? Diamanti? Ne vuoi portare qualcuno in Europa?"
“No, sa, non vorrei avere problemi in aeroporto.”
“Con me non ne avrai, e poi ti basta pagare qualcosa.”
Ovviamente rifiutai.
I miei due mesi in Sierra Leone non si possono riassumere facilmente: le persone incontrate, le storie raccontate. Ma i miei due mesi in Sierra Leone non mi hanno reso una persona migliore. Quelle storie e quei racconti mi hanno bastonato e mi hanno lasciato amore per le persone e molti dubbi. Perché spremere una terra, usurpandola fino a quando non ci sarà più niente da estrarre?
Avrei dovuto scrivere di un viaggio che mi ha dato la maturità, maturità che non credo di aver raggiunto nemmeno dopo tutte le altre piccole grandi imprese affrontate.
Quello che però l’ Africa ci può insegnare è essere sempre gentili con il prossimo, con gli stranieri; il modo in cui venni e vengo trattato in ogni singola spedizione è qualcosa che avevamo ed abbiamo dimenticato, una benedizione che cerco di meritarmi nella vita di tutti i giorni, essendo sempre e comunque in debito verso quei luoghi.
E se mai ci saranno strade e pozioni magiche ingurgitate sotto forma di alcool o cibi esotici che ricorderò, questi saranno sicuramente quelli della Sierra Leone, “il paese più ospitale del mondo”.
“E tu”, come mi disse mister J prima di partire, “Torna a casa, racconta che la guerra è finita, racconta quanto è bella la Sierra Leone e quanto è ospitale la sua gente. Va tra la tua gente e racconta queste cose.”

Due mesi dopo all’aeroporto di Bruxelles ero l’unico ad avere addosso colori diversi, che non fossero il grigio o il nero. O forse i colori c’erano, ma dopo quelli africani, io non li vedevo più.
Una ragazza seduta accanto mi chiese: "Sierra Leone? E cosa facevi lì? Perché hai scelto quel posto? Quanto tempo ci sei stato?"
"Dovresti vederla, l’Africa", risposi, "e se riesci a passare con lo spirito intatto i primi tempi, te ne innamorerai, e vivrai le impressioni che credevi di conoscere, ripescate in una vita antica che non conoscevi. Imparerai ad essere amata ed amare un luogo come non pensavi di poter mai fare, e persino casa tua, al tuo ritorno, avrà un aspetto migliore. E dopo qualche tempo, la dimenticherai o proverai a reprimere il suo ricordo, perché troppo forte sarebbe la voglia di tornare, la voglia di mollare tutto e ripartire. Spaventosa questa voglia. Ti farebbe mentire a te stessa dicendoti che forse stai bene così, perché non c’è niente che ti manca, perché in fondo…l’uomo bianco mente.

Angelo Calianno 
 
Il racconto che segue è stato scritto da Angelo Calianno ed è stato pubblicato nel 2010 nel libro "Partire" edito da A. Vallardi.

mercoledì 5 gennaio 2011

Se hai freddo e loro hanno caldo, sei in Scozia.

31/12/2010 Castello di Edimburgo poche ore prima dell'Hogmanay, il famoso capodanno scozzese.
A fine vacanza il tachimetro segna 1300 miglia inglesi. Appena rientrato in Italia, li  trasformo in 2091 kilometri e torno a guidare a destra. La Scozia. Strade strette e sinuose che saettano in un firmamento di pecore. Le stelle che ti guidano sono delle borchie metalliche con catarifrangente lungo la linea di divisione delle corsie. Il Sole che mi illumina il cammino però è l'Assisted GPS, la cui voce suadente ha cantato dall'inizio alla fine del viaggio. Sul ciglio volpi, lepri e fagiani falciati nel tentativo di attraversare la strada. I corvi banchettano. Sentieri fangosi solcati dalle pecore, diventati delle zuppe imbevute d'acqua. Pozzanghere. Paesaggi ordinati rigogliosi di un'erba verdeggiante che flirta con la candida neve. Foschia. Il buio scende presto. Quante pecore. Quanta selvaggina. Che forza questa Scozia.

03/01/2011 Nelle terre del castello di Howard
Puoi fare centinaia di miglia senza incontrare una pompa di benzina. L'unica che forse trovi è chiusa, sommersa dalla neve. Nessuna casa ferisce arrogantemente un'altra esibendo vanitosamente uno sfarzo evanescente. Le case sono imbevute nel tè della modestia; sono molto piccole e raccolte e portano i colori del paesaggio circostante. Muretti e staccionate squadrano le proprietà. I villaggi sembrano abbandonati. Le macchine tutte uguali. Procedono tutti alla stessa andatura. Poche esili figure anonime vi compaiono nelle strade. L'unica porta aperta alla baldoria e quella del pub. Qui si apre un'altra porta; quella dell'alcool e del gioco scommessa, calcio o cavalli che siano. Birra a fiumi. Qualcuno per la strada corre. Footing con la pila.

30/12/2010 Vallo di Adriano
Tu hai freddo e sei vestito per sfidare il Polo Nord, loro hanno caldo. I giovani sfilano a manichette corte, orgogliosamente temprati alle basse temperature. I negozi nelle grandi città vendono abbigliamenti primaverili; ma siamo in inverno. Ti guardi intorno e le persone vestono al massimo una felpa o una giacca che pare trasparente.

Alberto Sciretti lungo il Vallo di Adriano.
Ti viene ancora più freddo. Guardi il Kilt e ti si congelano i pensieri. Non solo. Mangi fish and chips e ti rendi conto che questo paese è proprio un altro mondo; non si può mischiare e compromettere nella UE. Abbiamo prese delle corrente diverse. Ma non è per quello. Noi uniamo l'acqua calda e fredda in un unico rubinetto. Loro tengono ben separate l'acqua calda dall'acqua fredda; due rubinetti ben distinti, nei lavabi scomodi per te che cerchi acqua tiepida; è come se conoscessero da tempi più remoti di noi la netta differenza tra il bene ed il male. Forse è proprio questo spirito che ha salvato qualche decennio fa' l'Europa, dal nazismo e dal fascismo. Sarà che ho visitato la parte dell'United Kingdom più attaccata alla terra ed ai suoi valori, ma ho colto oltre al paesaggio ordinato i germi di una sana e longeva democrazia.

domenica 26 dicembre 2010

We will not pay for your crisis

 

There are solemn moments in the life of peoples, as in that of individuals; supreme moments, where you decide the fate of a long future. Then every man has a right to ask another: what do you think? and every man would like to say: this is my faith, in this judge my work. Europe now is in one of those moments. The ferment of the students is universal in Europe, but without specific intent, without unity of belief to be held around the street, riots breaks out in anonymous and free of glory.

The agreement between government and governed has ceased and it's time to say we will not pay for your crisis.

venerdì 24 dicembre 2010

Il Vittorioso: nel "gioco delle copie" ha molti clienti, il peggio della borghesia italiana

Ho appena finito di leggere il Vittorioso. Arrivato alla quinta edizione in pochi giorni, non ho resistito. Leggibile e devo dire complessivamente piacevole. Il libro, che dà ampia voce ad uno dei giornalisti più discussi e controversi, proietta il lettore nell'ennesimo  mondo autoreferenziale, percorso continuamente dal brivido della vendita e dal "gioco delle copie"; in questo gioco, ecco comparire anche la moglie di Stefano Lorenzetto, indispettita per la mancata pubblicazione sul Il Giornale, dove lavora il marito, della notizia della nascita del loro secondogenito. Stefano Lorenzetto a quel punto, dodici mesi dopo la nascita, si prese una sorta di "rivincita" comprando sullo stesso giornale una inserzione a pagamento in cui si festeggiava il figlio di un anno. Questo episodio è la spia di come in determinati ambienti, come le redazioni dei giornali, si creino dei mondi paralleli autoreferenziali, dove a furia di coltivare il proprio Ego e di sentirsi degli Dei, diventa una questione di vita e di morte che un giornale riporti la notizia della nascita del figlio di un proprio dipendente. Chi se ne frega.
"Bisogna che ci inventiamo qualcosa" sospirava Vittorio Feltri, ossessionato dal grafico delle vendite. Vendere, vendere, vendere. A me non pare un gioco delle copie ma piuttosto una malattia delle copie.
Stefano Lorenzetto scrive: "La spregiudicatezza di Feltri nel fare i giornali l'ho sempre vista coniugata a un fiuto eccezionale per i fatti destinati a diventare eventi e a una cavalleresca noncuranza per le convenienze di schiaramento. Quello che sente di dover fare, fa. Non gl'importa nulla dell'editore, del Palazzo, del costume prevalente, del giudizio dei colleghi: il suo pensiero fisso è rivolto solo al lettore, il suo unico padrone."
Ma io allora mi chiedo; se Maurizio Costanzo negli ultimi sussulti della sua carriera di giornalista creava alla domenica delle arene dove si potessero insultare ed aggredire i concorrenti del Grande Fratello, ottenendo quel "picco" d'ascolto che lo potesse appagare e farlo bofonchiare compiaciuto, non è che quella che il Lorenzetto chiama "spregiuticatezza di Feltri" altro non sia che la solita tecnica aggressiva, mistificatrice e volgare, per creare quella violenza,  quello spernacchiamento nella titolazione, che piace da sempre ai lettori frustrati e che è funzionale solo ad aumentare le vendite a discapito della propria deontologia professionale e di una qualche ricerca di verità e virtù?  A Feltri piace definirsi in "bega con mezzo mondo" e lui stesso riferendosi ai bilanci risanati, ammette che "per sistemare i conti devi fare del male". Sono parole di Vittorio Feltri: "Ho giocato sporco, lo ammetto" riferendosi all'utilizzo di videocassette porno di Moana Pozzi per aumentare la tiratura delle copie. Sono le stesse persone che in Italia hanno il coraggio di indignarsi per le violenze createsi durante i movimenti studenteschi. Per aumentare le vendite del suo giornale Vittorio Feltri deve a suo dire fare male, gli studenti per riprendersi un futuro, a loro negato, non dovrebbero fare male.
Ecco, inoltre il conio di nuovi concetti, quali il killeraggio mediatico ed il dossieraggio. In fondo Vittorio Feltri guadagna sul venduto. A furia di calunniare arriva a guadagnare 750.000 euro lordi l'anno. Addirittura Belpietro, arriva a dichiarare pubblicamente di aver detto battute al vetriolo attribuibili in verità a Vittorio Feltri, vedi il caso del trattamento riservato al giornalista Lucio Lami; è la gara di chi si sente orgoglioso e vuole rivendicare di essere stato il primo a gettare merda, invece che inchiostro. Io ci vedo solo la vergogna di una parte del giornalismo italiano.
Vittorio Feltri ha in comune con Berlusconi quella semplicissima e banale teoria politica che vedrebbe Mani Pulite aver deliberatamene sbaragliato il pentapartito per lasciare volutamente ai comunisti la strada libera per vincere le elezioni, per mancanza di avversari. Entrambi asseriscono che in quel frangente, Berlusconi scese in campo per salvare la democrazia. Imbarazzante in seguito il trattamento del Il Giornale di Vittorio Feltri nei riguardi di Antonio Di Pietro, fino alle scuse ed alla transazione finanziaria, episodi che mineranno per un breve periodo il rapporto tra Vittorio Feltri ed Il Giornale della famiglia Berlusconi.
Mi son trovato d'accordo con Vittorio Feltri soltanto quando asserisce che al giorno d'oggi chiunque vada a comprare il giornale all'edicola ha la sensazione d'avere fra le mani il quotidiano di due giorni prima, talmente ormai le persone sono bombardate da notizie in tempo reale. Condivido il suo essere un animalista convinto. Per il resto, aveva ragione Indro Montanelli a dire "Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti." Già, uno che tiene un busto di Benito Mussolini nel suo ufficio, non può che assecondare il peggio della borghesia italiana.

Montanelli e Feltri a confronto.

lunedì 20 dicembre 2010

Cosa visitare a Malta in una settimana

Alberto Sciretti su un crinale a Malta. Settembre 2010


Il video da me girato su Malta. Cosa vedere in una settimana

Due viaggiatori fotografati a Malta. Non due turisti. Due viaggiatori.
Il salto della felicità. Malta, settembre 2010
 Ho visitato Malta a Settembre, quando i prezzi scendono e le fiumane di turisti sono rientrate nell'alveo delle città. Prima di tutto dove dormire. L'hotel più bello di tutta l'isola è sicuramente il Paradise Bay Resort Hotel, che circondato dal mare garantisce al viaggiatore la sensazione di potersi sentire protagonista di una vera e propria vacanza al mare; conviene prenotare tramite il sito http://www.booking.com/;  l'hotel oltre a trovarsi vicino alle spiaggie più belle di Malta, è in una posizione strategica a qualche centinaio di metri dal traghetto che porta a all'isola Gozo e dalle imbarcazioni o gommoni che portano all'incantevole isola di Comino.
L'hotel, Paradise Bay Resort Hotel fotografato dalla adiacente Paradise Bay, piccola ma accogliente spiaggia (forse ad Agosto si camminano in testa..). Sullo sfondo, dietro l'hotel, le isole di Comino e Gozo.
Zoom sulla Paradise Bay.
Zoom sulla Paradise Bay
Uno dei tanti scorci maltesi, colto dalla Paradise Bay.
Avendo a disposizione una settimana per visitare Malta il noleggio della macchina è praticamente una scelta obbligata.
Il turismo di Malta è un turismo internazionale, anche se è una delle mete preferite dalle popolazioni anglosassoni.
Scorcio maltese.
Particolare del viallaggio di Braccio di ferro
Le 17 casette del villaggio di Braccio di Ferro sono state costruite con legname importato appositamente dal Canada e dai Paesi Bassi, dipinte con 9000 litri di pittura, inchiodate con 8 tonnellate di chiodi e costruite da 165 uomini. Non sono state abbandonate dopo la conclusione delle riprese cinematografiche, ma sono diventate una attrazione turistica, soprattutto per bambini.
Anchor Bay. Fino al 1979 è stata una delle più graziose baie della costa di Malta. In quell'anno il regista Robert Altman ottenne dal governo maltese la concessione per costruire lungo le sue pendici Sweethaven, il villaggio che costituiva il set di "Popeye", la trasposizione cinematografica del fumetto di Braccio di Ferro interpretata da Robin Williams. La spiaggia di Anchor Bay è intatta e molto bella, bagnata da limpide acque turchesi.
 
Ghajn tuffieha bay, stupenda.

Ghajn tuffieha bay.

Gnejna Bay, baia dai colori suggestivi.

Ghajn tuffieha bay.

Il promontorio, stupendo, che separa Ghajn tuffieha bay e Gnejna bay, denominato "Il-Karraba", cioè nava da guerra, per la sua strana forma, simile ad una corazzata.


I colori della Gnejna bay.

I colori della Gnejna bay

Filfla, isolotto inaccessibile. Veniva usato come bersaglio dalla Royal Navy e dalla Royal Air Force, che lanciarono per un quarto di secolo tonnellate di bombe sul suo suolo arido.

Sullo sfondo Filfla.

Blue Grotto, La Grotta Azzurra.

Il sito archeologico comprende il tempio di Hagar Qim (nella foto) e quello di Mnajdra, a m. 500 di distanza. Sono due complessi monumentali da collocarsi tra il 3600 e il 2500 a.c, periodo in cui venivano venerate le divinità della fertilità.




Camminamento tra i due templi.

Tempio di Mnajdra.

Penisola di Il-Karraba al crepuscolo, presso Ghajn Tuffieha bay.

Ghajn tuffieha bay è forse la spiaggia più bella.

Le spiagge più rinomate si trovano a Gozo e Comino. La Blue Lagoon a Comino, facilmente raggiungibile e servita da battelli; bellissima ma talmente affollata che ci si cammina in testa.

La Blue Lagoon. Nella foto lo stretto canale che separa Comino da Cominotto, denominato appunto Laguna Blu. Il canale è stato chiuso al transito delle imbarcazioni, consentendo un migliore e più sicuro esercizio della balneazione. Comino, la piccola isola posta fra Malta e Gozo, deve il suo nome al finocchio selvatico, il cumino, una delle poche piante che riescono a crescere nel suo arido suolo.

St. Mary Tower a Comino.

La Blue Lagoon

La Blue Lagoon

Camping fai-da-te sull'isolotto di Comino

Caratteristico autobus maltese.

St. John's Co-Cathedral.

L'asse principale della Valletta, Republic Street. La via più lunga, più larga e più elevata, su cui si affacciano tutti i negozi. i caffé e molti uffici pubblici e privati.

Il coro e l'altare maggiore di St. John's Co-Cathedral, dedicata al santo patrono dei cavalieri, San Giovanni Battista. Notate l'intarsio di lapislazzuli, pietre semipreziose, marmi policromi e metalli argentati e dorati.

Veduta del porto della Valletta.
Forte Ricasoli nel porto della Valletta.


Nei quasi tre secoli di permanenza sull'isola, l'Ordine di San Giovanni modificò la fisionomia di Malta, trasformandola in una specie di grande fortezza.

Ramla bay a Gozo. Il lido più bello di Gozo, raffinato ed internazionale, circondato da una splendida vegetazione, una distesa si sabbia di color rossiccio. Da visitare molto vicino, la Grotta di Calypso, da dove ho scattato questa foto.
Veduta da Mdina con la sua poderosa cinta murata.


Scorcio da Mdina.
Fungus Rock, enorme roccia nelle acque di Dwejra Bay nei pressi della Azure window.

Azure window, il famoso arco di roccioso che si staglia nel mare a Gozo.
Gigantesca statua del Cristo a Marsalforn.

La parte più affascianante e ricca di elementi artistici, storici e culturali è senz'altro la zona che comprende Mdina, il cuore di Malta, la capitale storica, così lontana e diversa da Valletta e dal suo animato caos. Mdina è infatti chiamata anche "la città del silenzio", perchè tra i suoi vicoli, dove si può circolare solo a piedi, il tempo sembra essersi fermato.

A Malta parchi e giardini scarseggiano. Tra questi particolarmente rinomati sono i Buskett Gardens, nella foto. Il castello si chiama Verdala Palace.

Il palazzo del Gran Maestro.

Il palazzo del Gran Maestro.

Il museo delle armi presso il Il palazzo del Gran Maestro, comprende oltre 5000 pezzi tra cui l'armatura di Alof de Wignacourt e quella di De la Vallette, entrambe di splendida fattura italiana.

Il museo delle armi presso il Il palazzo del Gran Maestro.

Il museo delle armi presso il Il palazzo del Gran Maestro.

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