venerdì 28 marzo 2008

Pellegrinaggio sentimentale alla casa di Francesco Petrarca ad Arquà (PD)


Dalla porta-finestra della stanza da letto di Franceso Petrarca (stanza di Venere), chiusa da un poggiolo in ferro battuto che sostituì nel 1690 l'originaria balconata in legno, si può vedere il panorama del monte Cero, a destra, del monte Castello, a sinistra.
Il Monte Cero, a destra, ed il monte Castello a Sinistra, a cui poteta rimirare costantemente il Petrarca ogni momento; le piramidi italiane del faraone Francesco Petrarca.
La casa di Francesco Petrarca ha a mio avviso un valore inestimabile per molteplici motivi, che vanno al di là del valore che può avere la casa museo di uno tra i più grandi letterati al mondo; la casa, insieme al paesaggio circostante bucolico e alle atmosfere del borgo di Arquà Petrarca (PD) che magicamente nel corso dei secoli si sono conservate, rappresenta tuttora adesso un coacervo di verità, che altrove non è più possibile cogliere. Se a tante domande non trovate risposte, ad Arquà Petrarca le potete ancora trovare. Io personalmente l'ho visitata decine di volte. Perfino la notte in cui l'Italia vinse i mondiali di calcio, dopo aver festeggiato tutta la notte, convinsi i miei amici a raggiungerla alle 4 di notte. Ed in un silenzio di tomba, trovai risposte anche allora. La pace e la serenità che trasmette questo luogo, permette infatti di meditare, pratica di difficile attuazione altrove.
Street, New York I , 1926, Georgia O'keeffe
(showed dramatic changes that transformed New York in the first half of 1900)
Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304. Fu forse Francesco il Vecchio da Carrara a donare, nel 1369, al Petrarca la Casa fra le cui pareti si spense nel 1374. Era un epoca dove persone come lui, venivano concretamente premiate dalla politica per le loro attitudini. Francesco Petrarca fu amico del Boccaccio, che lo venne a trovare più volte e che morirà un anno e mezzo dopo il poeta.

I protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool
Francesco Petrarca, l’illustre poeta, quando scelse di stabilirsi ad Arquà Petrarca disse queste parole:
"Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo".

Stanza da letto del Petrarca (Stanza di Venere). Si notino la porta per accedere allo studiolo sulla destra e sulla sinistra la porta-davanzale con il panorama dei colli euganei.
Francesco Petrarca nel suo periodo patavino affrontò anche questioni di natura pratica e legate alla gestione della città. Un esempio di tali discorsi ce lo offre il Petrarca stesso nelle Epistole Senili (XIV, 1), da pari a pari, invitò il Da Carrara a occuparsi di un problema che affliggeva la città in modo serio. Contravvenendo allo statuto municipale, vi era l'abitudine di lasciare liberi i maiali per le strade, provocando ovvi inconveniente igienico-sanitari, ma ancor più risultando pericolosi per i cavalieri, spesso disarcionati dalle proprie cavalcature che si imbizzarrivano alla loro vista. Se i padovani, il Petrarca compreso, ormai subivano tale presenza con indifferenza per per la consolidata abitudine, così non era per i forestieri, che notavano con sorpresa l'incivile usanza. (anche al giorno d'oggi di notte e verso sera in giro per Padova ci sono dei "maiali" che spacciano droga, impunemente ed in barba a qualsiasi legge vigente. Ma purtroppo non c'è più un Petrarca che denunci con successo una simile situazione di degrado in cui è precipitata la città patavina). Il poeta ricordò al signore di Padova che le leggi della città prevedevano il sequestro degli animali lasciati incustoditi e suggerì di ripristinare in toto la prescrizione, facendola ribadire alla cittadinanza tramite il pubblico banditore e magari inasprendo le pene e istituendo un'apposita squadra di sorveglianti con il compito di portare via i maiali. Con uno spirito estremamente moderno per il suo tempo, asserisce il valore dell'aspetto e del decoro delle città quale requisito per un'ottimale qualità della vita di chi ci abita. Francesco Petrarca si interessa anche della salubrità dei Colli Euganei, esortando ad attuare lavori di bonifica.
"[...] tu Padova, nobilissima città, felice per posizione geografica e mite clima, vicina al mare, cinta da fiumi, ricca di fertili campagne, famosa per cittadini di vivace ingegno, celebrata nella storia per antico illustre nome [...]" (Francesco Petrarca, Familiari, XV 14) "Mi sono costruito sui colli Euganie una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti" (Francesco Petrarca, Senili XIII, 8, Lettera a Matteo Longo, 6 Gennaio 1371
Davanti alla casa c'è il giardino, sul retro il brolo.
Facciata della casa di Francesco Petrarca. Dopo la morte del Petrarca si succedettero diversi proprietari, ma la casa non subì sostanziali cambiamenti, nel rispetto del ricordo del poeta. Il mito della casa come luogo di memorie petrarchesche e meta di pellegrinaggio letterario e sentimentale. Addirittura nel Cinquecento si può dire diventò una specie di San Giacomo di Compostella letterario e laico. Paolo Valdezocco, proprietario della casa dal 1546 al 1556, fece aggiungere la loggetta e la scala esterna, dalla quale tutt'oggi si accede al primo piano, e fece dipingere alle pareti gli affreschi che ancora si possono ammirare, ispirati alle opere del Petrarca. Le scene sono dipinte nella parte più alta, mentre la parte sottostante delle pareti è illustrata con motivi ornamentali a imitazione dei tessuti di damasco
Il fregio pittorico della stanza centrale rappresenta sette scene ispirate alle allegorie della canzone petrarchesca "Nel docle tempo della prima etade", numero 23 del Canzoniere, nota anche come canzone della metamorfosi.
Il poeta è trasformato in un cigno. ("ond'io presi col suon color d'un cigno")
Laura ed Amore trasformano il poeta in pianta di alloro ("[...] facendomi d'uom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde")
Il poeta si lascia cadere sull'erba e dal gran piangere si trasforma in fonte ("Come huom che tra via dorma, gittaimi stancho sovra l'erba un giorno. Ivi accusando il fuggitivo raggio, a le lagrime triste allargai 'l freno et lasciaile cader come alor parve; né già mai neve sotto al sol disparve com'io sentì me tutto venir men, et farmi una fontana a pié d'un faggio") A destra, Laura strappa il cuore al poeta ("Questa che col mirar gli animi fura, m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano"). Al centro il poeta incontra Laura ma non la riconosce (Poi la rividi in altro habito sola, tal ch'i non la conobbi, oh senso umano") ed a sinistra Laura trasforma il poeta in un sasso ("Tosto tornando, fecemi, oimè lasso, d'un quasi vivo et sbigottito sasso")
Il cervo inseguito dai cani: "Una sfera m'apparve da man destra, con fronte humana, da far arder Giove, cacciata da duo veltri, un nero, un biancho". Studiolo del Petrarca, luogo di lavoro e di meditazione,dove egli conservava i suoi preziosi e amati libri, e dove nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374 morì. Nello studiolo si conservarono la seggiola e il vetusto armadio-libreria che sarebbero stati usati dal Petrarca, secondo una tradizione attestata sin dal Cinquecento.
Vittorio Alfieri così ricorda la sua visita nel 1783 con riferimento allo studiolo
O cameretta, che già in te chiudesti
quel grande, alla cui fama angusto è il mondo; quel si gentil d'amor mastro profondo
per cui Laura ebbe in terra onor celesti:
o di pensier soavemente mesti
solitario ricovero giocondo;
di quai lagrime amare il petto inondo,
nel veder ch'oggi inonorata resti!
Prezioso diaspro, agata, ed oro
foran debito fregio, e appena degno
di rivestir sì nobile tesoro.
Ma no: tomba fregiar d'uom ch'ebbe regno vuolsi, e por gemme ove disdice allor:
qui basta il nome di quel divo ingegno.
(Vittorio Alfieri, Rime, XLI)
La morte di Laura: "Alfin vid'io per entro i fiori et l'erba pensosa ir sì leggiadra et bella donna"
Particolare: Altichiero "Petrarca tra i notabili" Padova, oratorio di San Giorgio
Sulle pareti di alcune stanze sono visibili alcune iscrizioni di alcuni studenti (studenti austriaci del 1544 ad esempio) a ricordo della loro visita. Per ovviare all'usanza di apporre la propria firma sulle pareti della casa, fin dal 1787 furono messi a disposizione dei visitatori i cosidetti Codici di Arquà, registri dover poter lasciare il proprio nome, un pensiero, una poesia a testimonianza del pllegrinaggio ai luoghi petraarcheschi.
Luigi Ceccon, Francesco Petrarca, 1874. Monumentale statua del poeta che si può ammirare al piano terreno della casa di Arquà.
L'accesso ad Arquà Petrarca.
Famosa nella casa è la gatta imbalsamata,una delle curiosità più note e di richiamo della casa, che secondo la tradizione sarebbe la gatta domestica del poeta che gli faceva compagnia nelle ore di studio e di solitudine, come è raffigurato nell'affresco della Sala dei Giganti in Padova. In verità si tratta di una invenzione dei primio anni del Seicento.
Arca in marmo rosso, Tomba di Francesco Petrarca ove il Petrarca vi fu tumulato nel 1380 Sullo sfondo la chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta. Sull'attuale sagrato della chiesa, fino al al XIX secolo adibito a cimitero, vi è la tomba del poeta, edificata nel 1380 dal genero Francescuolo da Brossano suo erede testamentario. Sulla sommità dell'arca la testa in bronzo del poeta, ora sostituita da una copia, il cui originale è esposto proprio nella casa.
La tomba del Petrarca fu meta di reverente pellegrinaggio fin dalla sua erezione, ma anche di un ossessivo fanatismo per il culto del poeta, che provocò parecchi violazioni e depredazioni del sarcofago (nel 1630 il sarcofago fu aperto e furono asportate alcune ossa del braccio destro, mai ritrovate). Tra i tanti visitatori illustri della casa si annoverano Lord Byron (1817), Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo e tanti altri.
Sul sarcofago, sostenuto da quattro pilastri, vi è incisa l'epigrafe che sarebbe stata dettata dallo stesso poeta "Questa pietra ricopre le fredda ossa di Francesco Petrarca; accogli Vergine Madre la sua anima; tu o Figlio della Vergine, perdona. E possa essa, stanca ormai della terra, riposare nella rocca celeste." (Frigida francisci palis hic tegit ossa Petrace; suspice virgo parens animam; sate virgine parce. Fessaq(ue) iam terris celi requiescat in arce M CCCLXXIIIJ XVIIIJ JULIS")
Visione notturna della Tomba di Francesco Petrarca. Nel suo testamento F. Petrarca scrisse "Se chiudessi i miei giorni in Arquà, dove è la mia casa di campagna, e Dio mi avesse concesso quel tanto desidero, di costruire cioè una modesta cappella in onore della Vergine, in essa prescelgo di essere seppellito. Se no più in baso, in luogo decoroso presso la pieve." (la cattiva abitudine di riesumare i cadaveri di illustre personaggi, come ultimamente è successo per Padre Pio c'è sempre stata se si pensa che anche la tomba di Francesco Petrarca fu aperta nel 1873, e vennero prese le misure antropometriche dello scheletro del poeta.
Nuovi nuclei abitativi ad Arquà Petrarca e sullo sfondo il monte Cero.

Arquà Petrarca, insieme ad Asolo ed ai suoi colli, è riuscita nei secoli a conservare intatto il paesaggio che la circonda. La speculazione edilizia in queste zone, tuttavia è sempre in agguato. D'altronde, l'uomo soffocato nella pianura veneta da un cimitero di capannoni industriali abbandonati, da strade trafficate ed inquinamento dilagante, tenderebbe a rifugiarsi costi quel che costi in questi posti che invece hanno resistito meglio all'antropizzazione.
Un esempio di casa ideale a mio avviso. Chi non sognerebbe una casa così?
Il Petrarca amava le piante; nel suo giardino piantò l'alloro, la vite, il pomo e le piante aromatiche quali il rosmarino, l'issopo, il marrobbio.
I dintorni del borgo di Arquà Petrarda si contraddistinguono per il verde lussureggiante e la possibilità di effettuare lunghe passseggiate in un contesto unico nel suo genere. Qui l'unica fonte di inquinamento rilevante è un cementificio con un indotto importante (che per chi si avvicina ad Arquà Petrarca è comunque un pugno in un occhio), che però non è riuscito a rovinare lo spettacolo scenico di questi colli tanto cari al Petrarca.


Vagando per le ripide vie di Arquà, si può ancora cogliere un'atmosfera medioevale che a ragione contribuisce a rendere il borgo famoso. Ancora oggi il borgo è imbevuto della presenza del poeta, e si può dire che ogni pietra parli di lui e della sua poesia, infondendo al visitatore la stessa tranquillità e la stessa serenità che l'anziano poeta potè trovare nel suo soggiorno euganeo.
Il verde lussureggiante nei pressi di Arquà Petrarca (PD)

A 19 km a sud-ovest di Padova, a Valsanzibio di Galzignano, in una conca circondata da amene colline poste ad anfiteatro, si trova villa Barbarigo, oggi Pizzoni Ardemani, cinta da un’ eccezionale testimonianza di giardino secentesco, uno tra i più importanti ed integri in Europa e definito "perla degli Euganei". Copre oltre 150.000 mq e comprende il famoso labirinto antico di bossi, che si sviluppa per oltre 1.500 metri lineari (il solo labirinto, con quello di Villa Pisani, a Stra, che si sia conservato nella nostra regione). II giardino meraviglioso è inoltre caratterizzato da un ricco patrimonio di viali, aiuole fiorite, statue (in buona parte opera del Merengo), giochi d’acqua, fontane e decorazioni architettoniche volte ad accentuarne la vastità e la pittoricità. L’ingresso della villa serviva anche di approdo alle barche giunte attraverso la valle da pesca di Santo Eusebio, da cui il nome "ValSanZibio". Un tempo estesa a tutta la pianura la "Valle" oggi si limita al laghetto preservato per rispecchiare l'elegante costruzione.



Video dalla stanza da letto di Francesco Petrarca (PD)

domenica 23 marzo 2008

Masolino da Panicale ha ispirato J.R.R. Tolkien? Con un po' di fantasia..


Una ricostruzione 3D della città fortificata di Minas Tirith, (che significa torre di guardia). La fortezza immaginaria è stata edificata su sette diversi livelli, somiglianti a sporgenza scolpite nella collina, circondate ognuna da bianche mura e chiuse da sette cancelli non allineati tra di loro. Nella settima cerchia, in cima alla città, si trovano l'Alta Corte, la piazza della fontana (dove si trova l'albero bianco) di Gondor e la Torre Bianca, costruita dai Re e rinnovata da Ecthelion I(da cui prende il soprannome di Torre di Ecthelion), alta circa 90 metri.
Mi sono appena imbattuto in un dipinto di Masolino da Panicale, Paesaggio fantastico, del 1435 e mi sono chiesto con un po' di fantasia (troppa? beh sicuramente meno di Tolkien) se J.R.R. Tolkien nel Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings) non si sia ispirato, tra le altre cose, proprio a questo dipinto. Tolkien nel 1925 venne nominato professore di filologia anglosassone al Pembroke College di Oxford e nel 1945 gli venne affidata la cattedra di lingua inglese e letteratura medioevale del Merton College, dove insegnò fino al suo ritiro dall'attività didattica avvenuto nel 1959; poteva quindi nel corso dei propri studi aver visto il dipinto di Masolino da Panicale, ed essersi ispirato anche ad esso nell'ideare le magiche e portentose fortezze (Minas Tirith) ed i passi innacessibili (Fosso di Helm) nel suo capolavoro Il Signore degli Anelli.


Masolino da Panicale, Paesaggio fantastico, 1435, affresco Castiglione Olona (Varese), palazzo Branda Castiglioni
Così Tolkien descrive la fortezza di Minas Tirith:
"Pareva molto remota, e splendida: con le bianche mura, le innumerevoli torri, troneggiava in cima alla montagna, bella e superba; le cinte scintillavano d'acciaio, sui torrioni splendevano mille bandiere [...] Minas Tirith infatti era stata edificata su sette diversi livelli, come delle sporgenze scolpite nella collina, circondate ciascuna da mura e chiuse da sette cancelli. Ma i cancelli non erano allineati: il Gran Cancello delle Mura Maggiori era situato nel punto più orientale del circuito, mentre il seguente era leggermente rivolto verso sud ed il successivo verso nord, e così via sino in cima; la strada selciata che conduceva su alla Cittadella serpeggiava in tal modo da un lato all'altro della collina. In linea con il Gran Cancello vi era invece una grossa sporgenza rocciosa la cui mole mastodontica divideva a metà tutte le cerchie della città eccetto la prima: una galleria a volta permetteva alla strada di attraversare questo bastione di pietra, dovuto in parte al travaglio dei secoli e in parte alle opere e al possente lavoro degli antichi abitanti: esso s'innalzava dall'estremità dello spiazzo antistante il Gran Cancello, tagliente e affilato come la chiglia di una nave rivolta verso oriente. Si ergeva imponente fino al livello della cerchia più alta, sormontato da un bastione che permetteva a coloro che si trovavano nella Cittadella di scrutare dalla cima impervia, come marinai dall'alto di una nave di roccia, il Gran Cancello situato settecento piedi più in basso. L'ingresso della Cittadella era anch'esso rivolto verso oriente, ma scavato nel cuore della roccia; di lì, un lungo pendio illuminato da lanterne conduceva al settimo cancello. In tal modo gli Uomini di Minas Tirith raggiungevano l'Alta Corte e la Piazza della Fontana ai piedi della Torre Bianca: alta e proporzionata, misurava cinquanta tese dalla base sino al pinnacolo, in cima al quale sventolava l'insegna dei Sovrintendenti, mille piedi al di sopra della pianura. Era davvero una fortezza possente, e non certo facilmente espugnabile da un esercito nemico se qualcuno dei suoi abitanti sapeva maneggiare le armi; l'unica speranza per gli avversari era di sorprenderli alle spalle, inerpicandosi sui pendii inferiori del Mindolluin, per raggiungere la stretta sporgenza che univa il Colle di Guardia alla montagna stessa. Ma quella sporgenza, che si ergeva sino al livello della quinta cinta di mura, era fiancheggiata da imponenti bastioni fino alla sua estremità occidentale che dominava uno strapiombo; in quel luogo si trovavano le abitazioni e le tombe di sovrani e di signori del passato, per sempre muti fra il monte e la torre."

sabato 22 marzo 2008

Villa Pisani e Villa Contarini a confronto


Uno scorcio del giardino di Villa Pisani con lo specchio d'acqua che si estende rettilineo dinanzi alla facciata nord della villa.
Se Villa Pisani, ideale continuazione in terraferma del Canal Grande veneziano, agli occhi del visitatore apparirà tremendamente più bella rispetto alla pur maestosa Villa Contarini, considerata la più grande villa veneta, il confronto non ha motivo d'esistere perchè le due ville furono create a parecchi secoli di distanza l'una dall'altra. Villa Contarini è della metà del XVI secolo (1546), mentre Villa Pisani fu costruita nel 1721.
Facciata (fronte) del corpo centrale di Villa Pisani Facciata (fronte) del corpo centrale di Villa Contarini
Facciata (retro) di Villa Pisani
Facciata (retro) di Villa Contarini. Si noti come la villa necessiterebbe di importatanti lavori di ristrutturazione.
Ulteriori foto della facciata retro di Villa Pisani.
Ulteriori foto di Villa Contarini.

Facciata fronte di Villa Contarini

Particolare della facciata retro di Villa Contarini in cattivo stato di conservazione.
Entrambe le ville furono edificate per importanti famiglie nobiliari veneziane; Villa Pisani per la famiglia del doge Alvise Pisani e Villa Contarini per la famiglia nobiliare dei Contarini. L'architettura di entrambe le ville sembra ispirarsi allo stile palladiano (per Villa Contarini sembra non escludersi l'intervento proprio del Palladio nel 1546, per villa Pisani si tratta di un ottimo esempio del revival architettonico del Palladio avviato in Veneto a metà '700). Le Ville divennero teatro di feste memorabili per la loro grandiosità ed al loro interno si percorrono ambienti riccamente decorati. La vita in villa, luogo per eccellenza di "gioco grosso, tavola aperta, balli e spettacoli" (Carlo Goldoni), è ben rappresentata dalle imponenti sale da ballo e dalle decorazioni (baccanali).
Alcune importanti note storiche su Villa Pisani: la villa fu venduta a Napoleone Bonaparte nel 1807 per 1.901.000 di lire venete e restò meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco proprio a Villa Pisani), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934), Pierpaolo Pasolini (che girò nelle sale della villa e nel parco un episodio del suo film Porcile).

Coffee House nel Parco di Villa Pisani. Simile a un tempietto, questa piccola costruzione venne progettata nel 1720 come luogo di ristoro per i villeggianti. La sosta al suo interno, all'epoca privo di infissi, era particolarmente piacevole nei giorni più caldi in quanto si godeva dell'aria fresca che saliva dalla ghiacciaia sottostante attraverso i fori del pavimento. La collinetta sulla quale è collocata la Coffee House nasconde infatti una vano voltato a botte utilizzato nei secoli passati come deposito per il ghiaccio. Per facilitarne la raccolta venne realizzato in epoca napoleonica l'anello d'acqua che circonda la montagnola.

Parco di Villa Pisani
Parco di Villa Pisani Immagini dal Parco di Villa Pisani. Notate il camino veneziano con la tipica forma a campana
Peculiarità di Villa Contarini sono la sala delle Musica e la sala delle Audizioni, tra loro soprapposte e rese comunicanti da un'apertura circolare dalla quale le note suonate nel livello superiore si diffondono in quello sottostante, ottenendo un effetto acustico purissimo. La qualità acustica delle sale della Villa è unica al mondo. La Villa è nata come casa della musica, culla del melodramma e del concerto strumentale nel ‘600 e ‘700 e ancora oggi è utilizzata per concerti e registrazioni. Nel retrostante parco di oltre 40 ettari, parzialmente destinato ad uso agricolo ci sono peschiere e laghetti.
Video della facciata di Villa Contarini
Il laghetto nel parco di Villa Contarini (sullo sfondo) popolato da decine e decine di anitre, oche e cigni. Molte tipologie di volatili scelgono il parco per nidificare.
In entrambi i parchi delle ville, si possono incontrare particolari sculture.

Scultura nel parco di Villa Pisani. Ve ne sono decine e decine, immerse nella vegetazione.


Sculture volte a creare una panchina nel parco di Villa Contarini
Villa Pisani, il cui parco è davvero significativo, è famosa inoltre per il suo labirinto d'amore, di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravissuti fino ad oggi in Italia.
Video del Labirinto di Villa Pisani
Video di Sciretti Alberto sulla Riviera del Brenta

lunedì 17 marzo 2008

Ippolito Caffi: travel along the mediterranean

Per chi ha dipinto Ippolito Caffi, se quanto raffigurato viene tutti i giorni obliterato con cemento armato ed infrastrutture alienanti?
Video di Sciretti Alberto su Ippolito Caffi (1809 - 1866)

"Per chi, si chiese a un tratto, scriveva quel diario? Per il futuro, per gli uomini non ancora nati. La sua mente indugiò per un attimo su quella data dubbia fissata sulla pagina, poi andò a cozzare contro la parola in neolingua bipensiero [1]. Solo allora si rese pienamente conto di quanto fosse temerario ciò che aveva intrapreso. Come fare a comunicare col futuro? Era una cosa di per se stessa impossibile. O il futuro sarebbe stato uguale al presente , nel qual caso non l'avrebbe ascoltato, o sarebbe stato diverso, e allora le sue asserzioni non avrebbero avuto senso". George Orwel, 1984.
"For whom, it suddenly occurred to him to wonder, was he writing this diary? For the future, for the unborn. His mind hovered for a moment round the doubtful date on the page, and then fetched up with a bump against the Newspeak word doublethink [1]. For the first time the magnitude of what he had undertaken came home to him. How could you communicate with the future? It was of its nature impossibile. Either the future would resemble the present, in which case it would not liste to him: or it would be different from it, and his predicament would be meaningless." George Orwel, 1984

[1] La guerra è pace; La libertà è schiavitù; L'ignoranza è forza (War is peace; Freedom is slavery; Ignorance is strength)

Il Santuario e il porto di Genova in un olio di Ippolito Caffi (Veduta di Genova, 1853, Roma, Galleria d'Arte Moderna)

Un giornalista scientifico, Alan Weisman, ha ipotizzato nel suo libro Il mondo senza di noi (Einaudi), la fine della nostra specie, provando ad immaginare le conseguenze: acque pulite, rovine poetiche (i romani antichi hanno fatto costruzioni molto resistenti), verde lussureggiante, ma anche eterni ammassi di plastica (ce n'è oltre un miliardo di tonnellate nel solo Oceano Pacifico, ovvero sei volte la quantità del plancton).
In The World Without Us, Alan Weisman offers an utterly original approach to questions of humanity's impact on the planet: he asks us to envision our Earth, without us.In this far-reaching narrative, Weisman explains how our massive infrastructure would collapse and finally vanish without human presence; what of our everyday stuff may become immortalized as fossils; how copper pipes and wiring would be crushed into mere seams of reddish rock; why some of our earliest buildings might be the last architecture left; and how plastic, bronze sculpture, radio waves, and some man-made molecules may be our most lasting gifts to the universe

"La verità è che, senza di noi, il mondo starebbe una favola. La prospettiva non antropocentrica, ovvio, costa una fatica immane a qualsiasi essere umano. Ma mettendosi per una volta dalla parte del Pianeta è proprio così. Come inquilini del condominio Terra siamo un disastro. Un esercito di locuste, al confronto, sembra educato a Oxford. Scambiamo gli oceani per discariche, trasformiamo i ghiacciai in ghiaccioli. E a forza di pompare allegramente gas serra nell'atmosfera, stiamo arroventando il forno in cui ci siamo infilati, aspettando che il timer ci avverta che la cottura è terminata" (Tratto dall'articolo su Alan Weisman dal Venerdi di Repubblica 14 Marzo 2008)
La materia organica, quella specie di compost involontario prodotto dai rifiuti nelle strade, germinerebbe. La vegetazione prenderebbe il sopravvento. Le città sarebbero punteggiate da incendi. Senza spazzini ci sarebbe in giro un sacco di materiale combustibile. E senza pompieri in circolazione, i fulmini innescherebbero roghi continui. La ceramica di lavandini e water è,dal punto di vista geologico, quasi un fossile: tendenzialmente non si deteriora. Anche il bronzo è un altro materiale estremamente duraturo: statue e fontane sopravviverebbero


Floods in New York's subways. The big cities would crumble with remarkable ease. London or New York, like all large towns near the sea, would start to rot from their foundations up, as underground tunnels and conduits that carried trains and cables, roadways and sewage, started to fill up with water within days. The pumps that keep them dry would have simply ceased to operate.
Manhattan è circondata dall'acqua e una potente struttura di pompaggio che funziona di continuo evita che i tunnel della metropolitana ne siano invasi. Basterebbe uno stop al sistema di 48 ore perchè avesse inizio l'allagamento.
Ponti sbriciolati da ruggine e sale. Anche l'ingegneria civile più solida, in assenza di manutenzione, ha una data di scadenza. I tiranti di acciaio dei ponti verrebbero per esempio mangiati nel tempo dalla ruggine, lasciando crollare la campata di cemento in acqua, dove verrebbe corrosa dal sale.

Grass shoots would begin to shatter every road surface in the worl. The drawing above is what Fifth Avenue/St. Patrick's Cathedral would look like
Il traguardo dei 500 anni sarebbe tagliato da pochissimi manufatti umani. Solo gli edifici più antichi, in pietra, potrebbero farcela. Tra gli altri materiali invece, porcellana e pneumatici sarebbero quelli con maggiori probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo.

Dopo qualche migliaio di anni ogni costruzione sarebbe coperta da una nuova glaciazione. Sopravviverebbero nella loro forma originaria gli edifici sotterranei, come il tunnel che, attraversando la Manica, collega la Francia alla Gran Bretagna.

giovedì 13 marzo 2008

Giovinezza di spirito e di cuore a Parco Giardino Sigurtà

Dall'8 Marzo 2008 Parco Giardino Sigurtà è aperto. Ne propongo una rassegna fotografica (foto di aprile 2007)



Il Parco Giardino Sigurtà ha una superficie di 560.000 metri quadrati e si estende ai margini delle colline moreniche, nelle vicinanze del Lago di Garda, a soli otto chilometri da Peschiera. Per la storia completa sul Parco visita il sito internet
Iscrizione anonima che si trova su una lapide nel parco. Un inno alla giovinezza.
Giovinezza di spirito e di cuore

La giovinezza non è un periodo della vita, è uno stato d'animo che consiste in una certa forma della volontà, in una disposizione dell'immaginazione, in una forza emotiva; nel prevalere dell'audacia sulla timidezza e della sete dell'avventura sull'amore per le comodità. Non si invecchia per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni, ma solo quando si abbandona il proprio ideale. Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, la rinuncia all'entusiasmo li traccia sull'anima. La noia, il dubbio, la mancanza di sicurezza, il timore e la sfiducia sono lunghi anni che fanno chinare il capo e conducono lo spirito alla morte. Essere giovani significa conservare a sessanta o settant'anni l'amore del meraviglioso lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi; la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti, il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato piacevole e lieto dell'esistenza. Resterete giovani finché il vostro cuore saprà ricevere i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza e di forza che vi giungono dalla terra, da un uomo o dall'infinito. Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e su di esse si saranno accumulati le nevi del pessimismo e il ghiaccio del cinismo, è solo allora che diverrete vecchie possa Iddio aver pietà della vostra anima
Video di Parco Sigurtà
Dal Parco Giardino di Sigurtà si può vedere Borghetto di Valeggio sul Mincio che consiglio di visitare perchè unico con le sue case medioevali sospese sulle acque del Mincio.

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